Siamo alla vigilia delle Olimpiadi del 1960. Il mondo del trasporto romano è pervaso dalla febbre dell’automobile. Il tram è un intralcio. Per realizzare la via di scorrimento veloce con tanto di sottovia veicolare che da piazza Fiume lungo corso d’Italia e il Muro Torto porterà al piazzale Flaminio non ci si pensa neppure un attimo e si sacrificano due linee tranviarie storiche. L’8 che da Portonaccio raggiunge via della Giuliana, nelle vicinanze del Vaticano, e la circolare nera, che ha ricoperto un ruolo fondamentale nello sviluppo del trasporto pubblico della capitale. Così 8, CD e CS dal 28 settembre 1959 vennero servite da autobus.
Per l’istituzione dei sensi unici di marcia sui lungotevere, il tram fu tolto dall’anello più esterno della “Circolare Rossa, l’ES, e sostituito da autobus a tre assi Alfa Romeo, assai rumorosi. Nell’altro senso, su la ED, continuarono, invece, a circolare le vetture articolate Stanga 7000, ancora oggi in servizio! E pensare che dal raffronto delle diverse tipologie di vetture in linea sulle due circolari era emerso, secondo dati ATAC, come il servizio su rotaia fosse molto più economico dell’autobus, occorrendo infatti un numero doppio di bus per portare gli stessi passeggeri!
Con le Olimpiadi scomparve così la maggior parte della rete tranviaria romana. Autobus di tutti i tipi furono messi frettolosamente in circolazione, con conducenti poco pratici che “grattavano” terribilmente ai cambi di marcia. Grande tristezza provocava la vista della lunga fila di motrici e rimorchi a due assi abbandonati ovunque fosse possibile. Nelle immediate adiacenze del deposito tranviario San Paolo; in viale Carso, al quartiere Prati, su due binari non utilizzati che si trovavano proprio accanto a un altro deposito, il Vittoria. Anche sul viale Scalo San Lorenzo il binario non più percorso da la circolare ES fu utilizzato come temporaneo deposito all’aperto di parte del numeroso materiale a due assi radiato dal servizio. E quasi ogni giorno, piccoli gruppi di motrici e rimorchi venivano avviati alla demolizione.
Di un parco tranviario così numeroso non sono rimaste, peraltro per un puro caso, che due motrici. La “279”, venduta negli anni ’50, si ora trova negli Stati Uniti d’America, ospite del “Seashore Trolley Museum” di Kennebunk Port, nel Maine, vicino a Boston. Un’altra motrice, la 907, scampata alla demolizione perché dimenticata nel fondo di un capannone, fu poi recuperata per iniziativa del Graf, Gruppo Romano Amici della Ferrovia e poi, dopo lunghe trattative, restaurata e rimessa in ordine di marcia dall’ATAC assieme a un gruppo di volontari dell’associazione.
Comunque, già alla fine del 1960 la rete tranviaria di Roma era praticamente irriconoscibile. Rimanevano solo le linee 5, 6, 7, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 16, 18, ED, per una lunghezza totale di esercizio di 116 Km. Ma il peggio doveva ancora venire!. Inutilmente l’ATAC, oltre che al ripristino con vetture tranviarie dell’1, 23 e 28, chiese una deviazione del 13 nella zona a ridosso di San Giovanni e studiò una nuova linea ad U per utilizzare gli impianti della circolare rossa. Ma furono in molti a sostenere apertamente che il tram doveva presto sparire da Roma.
Frattanto scomparve anche la rete tranviaria dei Castelli romani, gestita dalla STEFER assieme ad alcune linee urbane, che tanto aveva contribuito molti decenni prima allo sviluppo della zona e che oggi gli abitanti rimpiangono e rivorrebbero molto volentieri, per far fronte all’insostenibile traffico stradale delle ore di punta. L’ultimo convoglio per i Castelli, precisamente per Genzano, partì dal capolinea di via Giovanni Amendola, nei pressi della stazione Termini, alla mezzanotte del 3 gennaio 1965.
In questo clima anti rotaia per i tram urbani era rimasto in funzione solo il deposito porta Maggiore, all’inizio di via Prenestina, l’unico tutt’ora in funzione a Roma, con prete delle storiche e prestigiose “Officine” non distanti sul lato opposto della Prenestina e ora in parte anch’esse adibite a deposito. Fu perciò una sorpresa mista a speranza di “ripresa” la risistemazione dei binari in piazza Bologna, in modo da far percorrere al tram la rotatoria per non essere ostacolo alle auto che procedevano in senso inverso, spostando di conseguenza il capolinea del 7 in piazza Istria, con la contemporanea soppressione del tram 6.
Poi nel 1966, in piazza della Croce Rossa si decise di costruire la lunga galleria stradale che avrebbe di lì a poco collegato viale del Castro Pretorio con i già presenti sottovia di corso d’Italia. Lavori che costrinsero l’ATAC a una non lunga modifica del tracciato tranviario in quel punto fino a viale del Policlinico, con la sistemazione temporanea di un breve tratto di binario unico regolato da semafori manuali.
Ma all’improvviso il progetto stradale fu modificato, e anche il binario unico venne smantellato. Così le linee 5 e 7, a forte traffico passeggeri e che raggiungevano piazza Istria, nel quartiere Trieste, correndo per gran parte in sede propria, furono limitate a piazza Indipendenza, e poi soppresse nel 1972. E da quell’anno non ci fu più transito di tram di fronte alla stazione Termini.
Nel 1973 la rete tramviaria romana era oramai limitata alle quattro linee 12, 13, 14 e 29 (la circolare esterna destra cui era stato cambiato numero); stando alle apparenze, aveva toccato il fondo e nulla pareva potesse salvarla salvarla dalla totale scomparsa. Ma non fu così.
L’idea di una linea che sostituisse la circolare rossa si era formata già sul finire degli anni ’50. Non più circolare, ma con un tracciato a forma di un cerchio incompleto, la linea ad U. Un progetto cui gli ingegneri ATAC lavorarono in silenzio per anni, dandogli persino il numero: il 30. Fino a che, verso la metà degli anni sessanta, proprio in piena distruzione di percorsi preziosi come il 5 e il 7, fu data pubblicità alla cosa.
Da un capolinea esterno sulla Circonvallazione Gianicolense, a Monteverde Nuovo, il tram sarebbe sceso verso Trastevere per poi svoltare su via Induno verso Porta San Paolo, riprendendo il percorso della esterna fino a piazza Ungheria, ai Parioli. Qui, anziché svoltare per viale Rossini, avrebbe dovuto scendere lungo il viale Parioli per poi raggiungere via Flaminia, passare il Tevere, imboccare viale Giulio Cesare per poi salire per via Baldo degli Ubaldi sino a piazza Irnerio.
Tra una discussione e l’altra sul progetto, proteste, suggerimenti e modifiche sostanziali, trascorsero anni. Gli avversari del tram, a quei tempi molto agguerriti e potenti, inventarono di tutto per ostacolarne la realizzazione. Ma nonostante tutto, nel 1972 il progetto si concretizzò, naturalmente escludendo le rotaie in viale Parioli, considerata “strada intoccabile”.
Da piazza Ungheria, la linea ad U avrebbe, invece, seguito il percorso della circolare esterna verso Belle Arti, via Flaminia e viale Giulio Cesare, raggiungendo poi il capolinea a piazza Irnerio percorrendo via Baldo degli Ubaldi. I lavori cominciarono con celerità, ma nuove difficoltà si presentarono in corso d’opera. Così il percorso fu dirottato e limitato a piazza Risorgimento. La linea 30 fu inaugurata il 3 marzo 1975.
L’apertura della linea A delle Metropolitana del 16 febbraio 1980 da Anagnina a Ottaviano, segnò la fine delle tranvie urbane della STEFER, con la soppressione, in contemporanea all’inaugurazione della nuova metro, della Termini-Cinecittà. Il collegamento Termini–Capannelle era stato chiuso senza troppo clamore già nel 1978.
E dire che l’ingegner Angelo Curci, vent’anni dopo, da Direttore generale della società Metro, succeduta alla Stefer, manifestò apertamente il proprio rammarico per esser stato artefice della soppressione delle due linee tranviarie che tanto sarebbero state poi utili, disponendo di un tracciato privilegiato quasi completamente in sede propria. Soprattutto la Termini-Capannelle avrebbe rappresentato un punto di partenza fondamentale per il collegamento su rotaia con l’aeroporto di Ciampino, di cui tuttavia all’epoca non si era in grado di prevederne l’eccezionale sviluppo, conseguenza del successo delle compagnie aeree low cost.
La linea ad U realizzata, ben diversa da quella ipotiizzata inizialmente, utilizzava quasi interamente gli impianti già esistenti. Negli anni che seguirono, poi un vero e proprio “balletto” di numeri e di cambiamenti, più che di destinazione di capolinea. Una “ammuina” di sapore tranviario, potrebbe esser definita. A parte l’asse della via Prenestina e appunto buon parte dei binari prima percorsi dalle “esterne”, ci furono leggere modifiche sul tracciato della soppressa linea 1, con capolinea in piazza Mancini, dal momento che da tempo il traffico su Ponte Milvio era stato interdetto.
Così nel 1990, in occasione dei campionati mondiali di calcio, il tram tornò a piazzale Flaminio riattivando l’antico percorso dell’1. Ma con l’altro capolinea appunto a piazza Mancini, in prossimità del lato opposto del fiume Tevere rispetto allo stadio Olimpico. La linea fu denominata 225 e vi furono messe in servizio le allora nuove vetture a piano ribassato costruite dalla Socimi di Binasco, con stabilimenti anche a Milano. Azienda poi fallita perché coinvolta nello scandalo “Tangentopoli”. E dobbiamo, ahimè, considerare che forse proprio grazie a “Tangentopolii” ha avuto inizio la rinascita del tram a Roma. Senza le Socimi non si sa come sarebbe finita.
Dopo la 225, successivamente rinumerata in 2, alla fine del secolo scorso prese il via la “nuova” linea 8, largo Argentina-Casaletto, utilizzando grandi vetture bi-direzionali di costruzione Fiat-Alstom acquistate in due riprese e appartenenti ad altrettante serie. Poi le solite promesse degli amministratori del Comune sulla realizzazione di nuove linee, puntualmente disattese per questo o per quel motivo. La più fattibile e vicina, per diverso tempo era sembrata quella del prolungamento dell’8 da Largo Argentina alla stazione Termini, percorrendo via Nazionale. Ma per il momento, ad anni di distanza, è stato completato solo il breve tratto Argentina- piazza Venezia, lungo via delle Botteghe Oscure. In ogni caso, meglio che niente!. Per il resto, chi vivrà, vedrà. Forse.
Enrico Massidda